Poco male, se non si corresse il rischio di vedere ad ogni poco scambiato il marchio con la sostanza di ciò che gli sta sotto, il rischio che corre ogni movimento politico che abbia voluto o voglia farsi passare per autorizzato o giustificato o valorizzato da uno speciale indirizzo di pensiero filosofico. Di questo rischio ha sofferto quanto noi il sindacalismo francese, costretto a sentire e subire gli influssi e le conseguenze delle critiche fatte alla corrente di pensiero da cui esso amò dirsi iniziato: al bergsonismo. Il paragone è molto grossolano, sia perché Bergson è una montagna e i nostri positivisti erano dei ranocchi in una palude, e sia pure perché nessun socialista italiano mai ha avuto la precisione, l’originalità, e insieme la facoltà di penetrazione e di adattamento di un Sorel. Ma dove è caduto un colosso, figuriamoci i nani! Per trovare la via giusta bisogna risalire a Carlo Marx e a Federico Engels, che da un pensiero filosofico hanno tratto una precisa dottrina di interpretazione storica e politica. Ma essi erano passati per l’idealismo e, prima ancora, erano gente che i filosofi li aveva letti, e capiti, e fatti suoi.
Oggi bisogna che discutiate con della gente che li conosce molto ma molto di lontano. E allora vi capita il curiosissimo caso di vedere il nome di una scuola filosofica diventare qualcosa di simile a un epiteto ingiurioso. Non sapete piú che cosa rispondere al vostro contraddittore? Ditegli che è un volontarista o un pragmatista, o - fatevi il segno della croce - un bergsoniano.
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