Il nome stesso di Liebknecht apparve allora a tutti in modo concreto, in modo evidente, ciò che era apparso negli anni della guerra alla fantasia di Henri Barbusse, una sintesi vivente, un simbolo: la sintesi ed il simbolo della rivolta proletaria contro le infamie, contro gli orrori, contro la schiavitú della guerra e della pace capitalistica.
Ma oggi che a distanza di due anni ricordiamo quei fatti, noi possiamo aggiungere qualcosa a quella rappresentazione simbolica, possiamo aggiungere l’esperienza di un periodo rivoluzionario apertosi con le piú grandi speranze e con la piú grande audacia, e non ancora concluso, benché il ritorno degli eventi fatto piú lento e meno febbrile sembri accennare a una depressione degli spiriti e della volontà di rivolta. Oggi lo sviluppo dei fatti ci si presenta anch’esso piú chiaro, insieme col logico incatenarsi delle cause e degli effetti, e il sacrificio di Liebknecht ci appare in tutta la pienezza del valore ch’esso ha avuto, non solo nella storia della rivoluzione europea, ma nella stessa intima storia della formazione nelle file del proletariato di una precisa coscienza e di una valida capacità di azione. Perciò, prima di ogni altra cosa, nel ricordare la morte atroce, noi ricordiamo che gli strumenti di essa furono apprestati, prima che dalla classe borghese, dai traditori usciti dalle file del partito del proletariato. Commemoriamo il martire e l’eroe, l’uomo nella cui vita per un istante si sono riassunte le sorti di tutta la classe ribelle, e non possiamo non ricordare, come parte essenziale di un insegnamento che non si cancella, che la sua sorte fu segnata da coloro che erano venuti meno alla fede, che erano passati nelle file avversarie o rimasti tra le file dei combattenti per seminarvi dubbio, incertezza, scetticismo.
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