Nei primi tempi i giovani venivano al Partito, a frotte, spinti da un impulso ideale, da uno slancio dell’animo disgustato della visione di un presente triste ed iniquo, avido di libertà e di battaglie. Venivano allora a noi, i giovani, senza distinzione, da tutte le classi. Erano studenti, professionisti, borghesi, gente cui lo studio aveva aperto la mente alla comprensione delle dottrine e procurato a dovizia la capacità di assimilarle e di esporle. Li animava un fervore idealistico, desiderio ardente di azione e di sacrificio; quasi sembrava che in essi dessero gli ultimi bagliori le virtú che la borghesia italiana aveva dato prova di possedere durante gli anni delle lotte del Risorgimento, quando non ancora l’eroismo era stato soffocato dalla corruzione dello Stato italiano. Quei giovani venendo al socialismo non potevano fare a meno di diventare subito delle guide, dei capi. E un vero vivaio di queste energie destinate ad imporsi e a conquistarsi i primi posti di combattimento erano allora i fasci giovanili. Ma una vera e propria organizzazione di giovani, che avesse esclusivo carattere proletario e fosse fatta per soddisfare i bisogni dei giovani proletari ed accontentare le esigenze loro nell’affacciarsi per la prima volta alla vita della loro classe, questa mancava, questa anzi si può dire che non sia esistita ancora mai.
Eppure oggi il movimento dei giovani, passati gli impeti generosi dei primi volontari, ha esclusivo carattere di classe. Sono operai e contadini, non sono piú transfughi dalle file della borghesia.
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