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      Hanno resistito per un mese. Sapevano di lottare e di resistere non solo per sé, non solo per la restante massa operaia torinese, ma per tutta la classe operaia italiana. Hanno resistito per un mese. Erano estenuati fisicamente perché da molte settimane e da molti mesi i loro salari erano stati ridotti e non erano piú sufficienti al sostentamento familiare, eppure hanno resistito per un mese. Erano completamente isolati nella nazione, immersi in un ambiente generale di stanchezza, di indifferenza, di ostilità, eppure hanno resistito per un mese. Sapevano di non poter sperare aiuto alcuno dal di fuori: sapevano che ormai alla classe operaia italiana erano stati recisi i tendini, sapevano di essere condannati alla sconfitta, eppure hanno resistito per un mese. Non c’è vergogna nella sconfitta degli operai della Fiat. Non si può domandare a una massa di uomini che è aggredita dalle piú dure necessità dell’esistenza, che ha la responsabilità dell’esistenza di una popolazione di 40.000 persone, non si può domandare piú di quanto hanno dato questi compagni che sono ritornati al lavoro, tristemente, accoratamente, consapevoli della immediata impossibilità di resistere piú oltre o di reagire.
      Specialmente noi comunisti, che viviamo gomito a gomito con gli operai, che ne conosciamo i bisogni, che della situazione abbiamo una concezione realistica, dobbiamo comprendere il perché di questa conclusione della lotta torinese. Da troppi anni le masse lottano, da troppi anni esse si esauriscono in azioni di dettaglio, sperperando i loro mezzi e le loro energie.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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