È stato questo il rimprovero che fin dal maggio 1919 noi dell’Ordine Nuovo abbiamo incessantemente mosso alle Centrali del movimento operaio e socialista: non abusate troppo della resistenza e della virtú di sacrifizio del proletariato; si tratta di uomini, uomini reali, sottoposti alle stesse debolezze di tutti gli uomini comuni che si vedono passare nelle strade, bere nelle taverne, discorrere a crocchi sulle piazze, che si stancano, che hanno fame e freddo, che si commuovono a sentir piangere i loro bambini e lamentarsi acremente le loro donne. Il nostro ottimismo rivoluzionario è stato sempre sostanziato da questa visione crudamente pessimistica della realtà umana, con cui inesorabilmente bisogna fare i conti.
E già nell’aprile 1920, quando si scatenò la prima offensiva contro il proletariato torinese, nei primi giorni della serrata metallurgica occasionata dall’affare delle lancette, noi dell’Ordine Nuovo stendevamo per la sezione socialista torinese la relazione che doveva essere presentata al Consiglio nazionale del Partito socialista e notavamo:
«Gli industriali e i proprietari terrieri hanno realizzato il massimo concentramento della disciplina e della potenza di classe: una parola d’ordine lanciata dalla Confederazione generale dell’industria italiana trova immediata attuazione in ogni singola fabbrica. Lo Stato borghese ha creato un corpo armato mercenario predisposto a funzionare da strumento esecutivo della volontà di questa nuova forte organizzazione della classe proprietaria, che tende, attraverso la serrata applicata su larga scala e il terrorismo, a restaurare il suo potere sui mezzi di produzione, costringendo gli operai e i contadini a lasciarsi espropriare di una moltiplicata quantità di lavoro non pagato.
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