Del blanquismo Mussolini aveva ritenuto solo l’esteriorità, o meglio, egli stesso lo aveva fatto diventare qualcosa di esteriore, lo aveva ridotto alla materialità della minoranza dominatrice e dell’uso delle armi nell’attacco violento. L’inquadramento dell’azione della minoranza nel movimento di massa, e il processo che fa della rivolta il mezzo per una trasformazione dei rapporti sociali, tutto ciò era scomparso. La settimana rossa romagnola, il tipico movimento mussoliniano, era quindi definita nel modo piú esatto da coloro che la chiamavano una rivoluzione senza programma.
Ma non basta; si può sostenere che per il capo dei fascisti le cose, da allora ad oggi, non sono cambiate. La sua posizione è, in fondo, ancora quella di una volta. Anche oggi egli non è altro che un teorico, se cosí si può dire, e un inscenatore di colpi di mano. Il blanquismo, nella sua materialità, può essere oggi sovversivo, domani reazionario. Sempre però esso è rivoluzionario e ricostruttore solo in apparenza, condannato a mancare di continuità e di sviluppo, dannato a non saper saldare insieme l’uno e l’altro colpo di mano nella linea di un processo storico. Oggi i borghesi, mezzo impauriti e mezzo stupefatti, guardano a quest’uomo che si è messo ai loro servizi come ad una specie di nuovo mostro, rivoluzionatore di situazioni reali e creatore di storia. Nulla di piú falso. L’incapacità di saldare insieme gli anelli di una costruzione storica è tanto grande nel blanquismo di questo epilettico quanto lo è nel sovversivismo malthusiano dei D’Aragona e dei Serrati.
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Mussolini Aragona Serrati
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