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      La vertenza dei metallurgici culminò con la presa di possesso delle fabbriche. Giolitti volle lasciar compiere l’atto rivoluzionario, fece armare il proletariato, annullò l’autorità dello Stato, fece proclamare ai quattro venti la fine della proprietà privata, mettendo a dura prova i nervi della borghesia avara e bigotta. Cosí facendo ammoniva la borghesia sul pericolo di una rivoluzione ed esperimentava, sul terreno pratico, la capacità rivoluzionaria delle organizzazioni operaie. La lotta finí nel modo ignominioso che ormai tutti conosciamo, lasciando dietro di sé la beffa del «controllo» su cui e capi d’organizzazioni operaie e capi di governo chiosano nei momenti di maggiore attività politica. Ma Giolitti volle ancora vieppiú divertirsi e seguendo tutto un piano di demagogia, che abilmente doveva servirgli a nascondere le sue intenzioni, si dette l’aria, con dei progetti di legge sui sopraprofitti di guerra, di colpire tutti i ladri che avevano speculato sulla piú grande sventura nazionale: la guerra. Con questo «frondismo» l’uomo di Dronero s’accompagnava con lo spirito pubblico, eliminava le diffidenze e stringeva in pugno tutti coloro che ebbero a condannarlo «traditore» durante le radiose giornate di maggio.
      Contemporaneamente teneva al guinzaglio i «capi» del movimento operaio dei quali aveva potuto esperimentare l’assoluta incapacità rivoluzionaria. Cosí rassicurato, Giolitti mise mano al suo programma e preparò la reazione. Egli, come sempre, non volle compromettere lo Stato in una reazione che si presentava difficile e preparò il terreno perché questa avvenisse per opera della stessa borghesia.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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