Tutto questo è stato permesso dalle autorità ufficiali, è stato o taciuto o esaltato dai giornali; una pazzia collettiva parve avere invaso la classe dirigente, il Parlamento, i governi. Tutta questa gente pensava che la vita nazionale potesse normalizzarsi secondo il ritmo fascista; che nessuna reazione, né psicologica, né fisica, dovesse fermentare nella popolazione in tal modo tormentata, avvilita, schiacciata.
Oggi la situazione muta. Non si tratta piú di individui o di gruppi che si rivoltano, che cercano di difendersi e di vendicare i loro morti; sono intere popolazioni che insorgono, senza distinzioni di partiti politici popolari; il prete fa suonare la campana a stormo, mentre la donna prepara l’olio bollente e gli uomini si armano di tutto ciò che possa colpire, formano squadre di difesa, e d’un tratto, sentendo ribollire tutto l’odio accumulato, tutte le umiliazioni patite, diventano furiosi e dànno la caccia al fascista come a un invasore straniero che si è messo al bando dell’umanità con le sue nefandezze e la sua ferocia. E lo Stato finalmente si muove; oggi che la popolazione insorge, lo Stato si muove; oggi che la furia popolare vuol far giustizia dei dolori sofferti, lo Stato si muove. Con prudenza, con cautela, perché non si tratta già di colpire la povera gente, si tratta di colpire i figli dei borghesi, gente che va al saccheggio gridando «viva l’Italia, viva il re», adorna del tricolore; gente scelta, insomma, per bene, legata con vincoli di parentela ai deputati, alla gerarchia militare, alla magistratura.
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