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      E infatti. Tredici fascisti vengono uccisi dalla forza pubblica, 13 componenti di una banda armata di 600 persone, diretta contro una città: lutti, pianti, desolazione. Duemilacinquecento italiani sono stati uccisi nel 1920; 1.500 italiani sono stati uccisi nei primi sei mesi del 1921; ma erano di bassa casta, ma erano del bestiame popolare che è troppo numeroso, che è troppo ingombrante per le disponibilità in viveri, che è esuberante per la possibilità produttiva dell’apparecchio capitalistico industriale e agricolo; perciò nessuna protesta per la loro uccisione, nessun lutto, non lacrime, non desolazione per la loro fine violenta. I 13 valgono piú dei 4.000; la morte di 13 fa dimenticare la morte dei 4.000, fa dimenticare i dolori, le sofferenze dei milioni e milioni di popolazione sottoposta al regime dell’invasione fascista.
      Tutto ciò è naturale. Sarebbe sciocco attendersi diversi stati d’animo, sarebbe assurdo sperare in un’azione permanente da parte dello Stato e dei giornali contro il terrore fascista. Domandare alla classe dirigente di schiacciare il fascismo, sarebbe come domandarle il suicidio. Le armi che per cinque minuti sono state spianate contro i fascisti, non tarderanno a spianarsi contro il popolo insorto; l’insurrezione popolare servirà allo Stato borghese per identificare le armi in possesso dei lavoratori e per cercare di rastrellarle. Le piú assurde leggende saranno create contro il popolo barbaro, inumano, formato di cannibali; per 13 morti borghesi si permetterà un’ecatombe di 1.000 lavoratori.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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