Il patto di pace stipulato coll’intervento ufficioso dello Stato, mentre è una rinuncia forse anche dolorosa per i pochi massimalisti del Partito socialista, è una conquista per i laburisti che dirigono la Confederazione e tirano i fili dei burattini del teatro di Barnum.
Il Partito socialista italiano, che non ha mai saputo correggersi dal peccato d’origine democratico, parlamentare, piccolo-borghese, è sempre stato poco temuto dalle nostre classi dirigenti.
Colla guerra e la rivoluzione russa, la lotta di classe ha assunto ovunque in Europa il carattere asprissimo dello sforzo per l’abbattimento del potere borghese e l’instaurazione della dittatura proletaria.
La grave situazione operò quello che gli uomini di buona volontà avrebbero voluto evitare. Il bongarçonnisme divenne sempre piú impotente di fronte alla fatalità della storia.
Ne risultò la scissione nel socialismo mondiale. Data da allora in Italia l’inasprirsi dei dissidi che hanno provocato i piú accesi dibattiti sui rapporti fra i sindacati dominati dai laburisti ed il Partito socialista, ed hanno portato all’uscita da questo dei comunisti.
La scissione segnò la fine politica del «massimalismo» e l’asservimento del PSI agli uomini della Confederazione. La maschera rivoluzionaria fu conservata con intenti di pura demagogia.
Il fatto è previsto nello sviluppo della lotta di classe, che tende a polarizzarsi nel laburismo collaborazionista e nel Partito comunista, classista, rivoluzionario.
Il dissidio fra rivoluzionari e riformisti sui compiti dei sindacati era in fondo dissidio fra la burocrazia sindacale - che accentrava in sé tutte le funzioni politiche dell’organizzazione operaia - e le masse organizzate.
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