Con questo si spiega come il fascismo - mentre i suoi capi parlamentari affermavano il rispetto delle organizzazioni operaie, per far piacere ai capi parlamentari del socialismo, coi quali oggi solennemente si sono pacificati, quasi fossero stati mai in guerra - si sia sviluppato essenzialmente con carattere antisindacale. I fortilizi del sindacalismo riformista sotto la raffica della reazione bianca sono caduti uno dopo l’altro. Le Camere del lavoro sono state incendiate a decine, le organizzazioni sciolte o impossibilitate a funzionare, i dirigenti esiliati od arrestati e talvolta uccisi anche, le conquiste maggiori calpestate, ma la tattica dei laburisti non è cambiata.
Essi hanno continuato a guardare allo Stato come al solo capace di ristabilire coll’autorità della legge la normalità dell’azione sindacale, e piú, come alla sola realtà sociale.
Cosí oggi i capi riformisti della Confederazione generale del lavoro non hanno neppure dovuto fare un esame sommario di coscienza prima di sottoscrivere il trattato di pace coi fascisti.
La presenza dei rappresentanti dello Stato è anzi stata da essi voluta, e dai massimalisti, come sempre, docilmente accettata. I laburisti della Confederazione generale del lavoro hanno firmato il trattato di pace colla coscienza di compiere in tal modo un atto di collaborazione, anticlassista, controrivoluzionario, di contribuire a restaurare l’autorità della legge e dello Stato, di avvicinare il giorno della loro andata al «potere» colla liquidazione degli ultimi residui di massimalismo intransigente che ancora ingombra la via.
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