I comunisti torinesi, come appare dall’Ordine Nuovo settimanale del 15 agosto 1920, erano contrari all’azione impostata dalla FIOM, per il modo con cui era stata impostata, per il fatto che non era stata preceduta da una preparazione, per il fatto che non aveva un fine concreto. Date queste condizioni di fatto, il movimento poteva sboccare in una rivoluzione solo a patto che i riformisti continuassero a dirigerlo. Se i riformisti una volta iniziata l’azione, una volta che l’azione aveva preso l’importanza e il carattere che aveva preso, l’avessero condotta fino alle sue conseguenze logiche, certo la grande maggioranza del proletariato e anche larghi strati della piccola borghesia e dei contadini avrebbero seguito la loro parola d’ordine. Se invece i comunisti torinesi, di loro iniziativa, avessero iniziato l’insurrezione, Torino sarebbe stata isolata, Torino proletaria sarebbe stata implacabilmente schiacciata dalle forze armate del potere di Stato. Nel settembre 1920 Torino non avrebbe avuto neppure la solidarietŕ della regione piemontese, come l’aveva avuta nell’aprile precedente. La campagna scellerata che i funzionari sindacali e gli opportunisti serratiani fecero contro i comunisti torinesi dopo lo sciopero d’aprile aveva avuto effetto specialmente nel Piemonte: i torinesi non potevano neppure accostare i compagni della regione; non si credeva una parola di quanto affermavano, si domandava sempre loro se avevano un mandato esplicito della direzione del Partito; tutta l’organizzazione creata da Torino per la regione si era completamente sfasciata.
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