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      Come era possibile che stessero insieme, in uno stesso partito, uomini che diffidavano gli uni degli altri, che si accorgevano della necessità, proprio nel momento dell’azione, di guardarsi alle spalle dai propri consoci? Questa era la situazione, e noi non eravamo anarchici ma comunisti, cioè convinti della necessità di un partito nazionale perché la rivoluzione proletaria abbia un minimo di probabilità di buona riuscita. Ma se anche fossimo stati anarchici, avremmo fatto diversamente? C’è un punto di riferimento per rispondere a questa domanda: nel settembre 1920 esistevano bene in Italia gli anarchici, esisteva un movimento anarchico nazionale. Cosa hanno fatto gli anarchici? Nulla. Se noi fossimo stati anarchici, non avremmo neppure fatto ciò che è stato fatto a Torino nel settembre 1920, e cioè una preparazione notevole, certamente, dato che era dovuta a sforzi puramente locali, senza aiuti, senza consigli, senza una integrazione nazionale.
      Se gli anarchici riflettono bene ai fatti del settembre 1920 non possono che giungere a una conclusione: la necessità del partito politico, fortemente organizzato e centralizzato. Appunto perché il Partito socialista, per la sua incapacità, per la sua subordinazione ai funzionari sindacali, è il responsabile della mancata rivoluzione, appunto perciò deve esistere un partito che la sua organizzazione nazionale ponga a servizio della rivoluzione proletaria, che prepari con la discussione e con la disciplina ferrea gli uomini capaci, che sappiano prevedere, che non conoscano esitazioni e tentennamenti.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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