Cosí nacque il Partito comunista, prima organizzazione autonoma e indipendente del proletariato industriale, della sola classe popolare essenzialmente e permanentemente rivoluzionaria.
Il Partito comunista non divenne subito partito delle piú grandi masse. Ciò prova una sola cosa: le condizioni di grande demoralizzazione e di grande abbattimento in cui erano piombate le masse in seguito al fallimento politico dell'occupazione delle fabbriche. La fede si era spenta in un gran numero dei dirigenti; ciò che prima era stato esaltato veniva oggi deriso; i sentimenti piú intimi e delicati della coscienza proletaria venivano turpemente calpestati da questa ufficialità subalterna dirigente, divenuta scettica, corrottasi nel pentimento e nel rimorso del suo passato di demagogia massimalista. La massa popolare, che subito dopo l'armistizio si era schierata intorno al Partito socialista, si smembrò, si liquefece, si disperse. La piccola borghesia che aveva simpatizzato col socialismo, simpatizzò col fascismo; i contadini, senza appoggio ormai nel Partito socialista, ebbero piuttosto simpatie per il Partito popolare. Ma non fu senza conseguenze questa confusione degli antichi effettivi del Partito socialista coi fascisti da una parte, coi popolari dall'altra.
Il Partito popolare si avvicinò al Partito socialista: nelle elezioni parlamentari le liste aperte popolari, in tutte le circoscrizioni, accolsero a centinaia e migliaia i nomi dei candidati socialisti; nelle elezioni municipali verificatesi in alcuni comuni rurali, dalle elezioni politiche ad oggi, spesso i socialisti non presentarono lista di minoranza e consigliarono i loro aderenti a riversare i voti sulla lista popolare; a Bergamo il fenomeno ebbe una manifestazione clamorosa: gli estremisti popolari si staccarono dall'organizzazione bianca e si fusero coi socialisti, fondando una Camera del lavoro e un settimanale diretto e scritto da socialisti e popolari insieme.
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