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      Fummo - bisogna dirlo - travolti dagli avvenimenti, fummo, senza volerlo, un aspetto della dissoluzione generale della società italiana, diventata un crogiolo incandescente dove tutte le tradizioni, tutte le formazioni storiche, tutte le idee prevalenti si fondevano qualche volta senza residuo: avevamo una consolazione alla quale ci siamo tenacemente attaccati, che nessuno si salvava, che noi potevamo affermare di aver previsto matematicamente il cataclisma, quando gli altri si cullavano nella piú beata e idiota delle illusioni.
      Siamo entrati, dopo la scissione di Livorno, in uno stato di necessità. Solo questa giustificazione possiamo dare ai nostri atteggiamenti, alla nostra attività dopo la scissione di Livorno: la necessità, che si poneva crudamente, nella forma piú esasperata, nel dilemma di vita o morte. Dovemmo organizzarci in partito nel fuoco della guerra civile, cementando le nostre sezioni col sangue dei piú devoti militanti; dovemmo trasformare, nell'atto stesso della loro costituzione, del loro arruolamento, i nostri gruppi in distaccamenti per la guerriglia, della piú atroce e difficile guerriglia che mai classe operaia abbia dovuto combattere. Si riuscí tuttavia: il Partito fu costituito e fortemente costituito: esso è una falange di acciaio, troppo piccola certamente per entrare in una lotta contro le forze avversarie, ma sufficiente per diventare l'armatura di una piú vasta formazione, di un esercito che, per servirsi del linguaggio storico italiano, possa far succedere la battaglia del Piave alla rotta di Caporetto.


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Scritti politici
Terza parte
di Antonio Gramsci
pagine 415

   





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