Il Corriere ha una concezione piú «unitaria», piú «italiana» per cosí dire - piú commerciale e meno industriale - della situazione. Il Corriere ha appoggiato Salandra e Nitti, i due primi presidenti meridionali (i presidenti siciliani rappresentavano la Sicilia e non il Mezzogiorno perché la quistione siciliana è notoriamente distinta dalla quistione del Mezzogiorno) - era favorevole all'Intesa e non alla Germania come la Stampa, è libero scambista permanentemente e non solo nei periodi elettorali-giolittiani come la Stampa, non si spaventava come la Stampa durante la guerra, che l'apparecchio statale passasse dalle mani della burocrazia massonica giolittiana nelle mani dei «pugliesi» di Salandra: - il Corriere è piú attaccato al conservatorismo, farebbe anche alleanza coi riformisti, ma solo dopo il passaggio di costoro sotto molte forche caudine; il Corriere vuole un governo «Amendola», cioè che la piccola borghesia meridionale e non l'aristocrazia operaia del Nord entri ufficialmente a far parte del sistema di forze realmente dominanti: vuole in Italia una democrazia rurale, che abbia in Cadorna il suo capo militare e non in Badoglio come vorrebbe la Stampa, che abbia a capo politico un Poincaré italiano, non un Briand italiano. Il Corriere non si spaventa come la Stampa, che si abbia nuovamente un periodo come il decennio '90-900, un periodo in cui le insurrezioni dei contadini meridionali si saldino automaticamente alle insurrezioni operaie delle città industriali, in cui ai «fasci siciliani» corrisponda un «'98 milanese»: il Corriere ha fiducia nelle «forze naturali» e nei cannoni di Bava-Beccaris.
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