È la stessa tattica, in fondo, che si riveste di nuovi aspetti, per la nuova situazione: la stessa tattica di passività, di «neutralismo», dell'unità per l'unità, del partito per il partito, della fede nella predestinazione del Partito socialista a essere il Partito dei lavoratori italiani. Quali risultati questo atteggiamento abbia oggi, quando esistono il Partito unitario a destra e il Partito comunista a sinistra, è chiaro anche per l'amico S.; crisi interne in permanenza, scissioni dopo scissioni, che non risolvono mai la situazione, perché la tendenza comunista rinasce continuamente e la destra, favorevole alla fusione con gli unitari, continuamente si rafforza.
Residui di vecchie ideologieL'amico S. non è ancora riuscito a distruggere in sé tutti gli avanzi ideologici della sua formazione intellettuale democratico-liberale, cioè normativa e kantiana, non marxista, e dialettica. Che significato hanno le sue affermazioni che la classe operaia è «assente», che la situazione è contraria al sindacato e al Partito, che la violenza fascista è un problema di «ordine», cioè di «polizia» e non un problema «sociale»?
La situazione italiana è certamente complicata e contraddittoria, ma non tanto che non si possano già cogliere in essa delle marcate linee unitarie di sviluppo. Il proletariato, cioè la classe rivoluzionaria per eccellenza, è la minoranza del popolo lavoratore oppresso e sfruttato dal capitalismo ed è accentrato prevalentemente in una sola zona, quella settentrionale. Negli anni 1919-20 la forza politica del proletariato consisteva nel trovarsi automaticamente alla testa di tutto il popolo lavoratore, nel centralizzare obbiettivamente nella sua azione diretta e immediata contro il capitalismo tutte le rivolte degli altri strati popolari, amorfi e senza indirizzo.
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