Una scuola adeguata alla importanza di quel movimento avrebbe richiesto, non l'attività di pochi, ma lo sforzo sistematico e ordinato di un partito intiero.
Considerata a questo modo la cattiva sorte toccata fino ad ora ai tentativi di creare delle scuole per i militanti del proletariato, - considerata cioè in relazione con la sua causa fondamentale, - essa appare non tanto come un male, ma come segno di inattaccabilità del movimento operaio da parte di quello che sarebbe, per esso, effettivamente un male. Male sarebbe se il movimento operaio diventasse campo di preda o strumento di esperienza per la sufficienza di male accorti pedagoghi, se esso perdesse i suoi caratteri di appassionata milizia per assumere quelli di studio oggettivo e di «cultura» disinteressata. Né uno «studio oggettivo», né una «cultura disinteressata» possono aver luogo nelle nostre file, nulla quindi che assomigli a ciò che viene considerato come oggetto normale di insegnamento secondo la concezione umanistica, borghese, della scuola.
Siamo una organizzazione di lotte, e nelle nostre file si studia per accrescere, per affinare le capacità di lotta dei singoli e di tutta la organizzazione, per comprendere meglio quali sono le posizioni del nemico e le nostre, per poter meglio adeguare ad esse la nostra azione di ogni giorno. Studio e cultura non sono per noi altro che coscienza teorica dei nostri fini immediati e supremi, e del modo come potremo riuscire a tradurli in atto.
Fino a qual punto questa coscienza oggi esiste nel nostro Partito, è diffusa nelle sue file, è penetrata nei compagni che ricoprono funzioni di direzione e nei semplici militanti che devono portare quotidianamente a contatto con le masse le parole del Partito, rendere efficaci i suoi ordini, realizzare le sue direttive?
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