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      ) di rimanere in patria per continuare il lavoro rivoluzionario, per ricostruire ogni giorno i legami che ogni giorno la reazione distruggeva, dopo sacrifici e sofferenze inaudite, essi furono costretti ad emigrare. Sei anni sono lunghi; una nuova generazione è già entrata nelle fabbriche, di operai che nel 1920 erano ancora adolescenti o fanciulli e tutt'al piú partecipavano alla vita pubblica giocando nelle strade alla guerra tra esercito rosso ed esercito polacco e rifiutando di fare il polacco anche per gioco. Tuttavia l'occupazione delle fabbriche non è stata dimenticata dalle masse e non solo dalle masse operaie, ma anche dalle masse contadine. Essa è stata la prova generale della classe rivoluzionaria italiana, la quale, come classe, ha dimostrato di essere matura, di essere capace di iniziativa, di possedere una inestimabile ricchezza di energie creative e organizzative; se il movimento è fallito, la responsabilità non può essere addossata alla classe operaia come tale, ma al Partito socialista che venne meno ai suoi doveri, che era incapace e inetto, che era alla coda della classe operaia e non alla sua testa.
      L'occupazione delle fabbriche è ancora all'ordine del giorno nelle conversazioni e nelle discussioni che avvengono alla base tra gli elementi d'avanguardia e gli elementi piú arretrati e passivi o tra quelli e i nemici di classe. Recentemente, in una riunione di contadini e artigiani di villaggio dell'Italia meridionale, simpatizzanti col nostro Partito, dopo un breve rapporto sulla situazione attuale, furono dai presenti posti due ordini di quistioni:


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Scritti politici
Terza parte
di Antonio Gramsci
pagine 415

   





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