Reggio Emilia era sempre stato il bersaglio dei «meridionalisti». Una frase di Camillo Prampolini: «L'Italia si divide in nordici e sudici» era come l'espressione piú caratteristica dell'odio violento che tra i meridionali si spargeva contro gli operai del Nord. A Reggio Emilia si presentò una questione simile a quella della Fiat: una grande officina doveva passare nelle mani degli operai come azienda cooperativa. I riformisti reggiani erano entusiasti dell'avvenimento e lo strombazzavano nei loro giornali e nelle loro riunioni. Un comunista torinese si recò a Reggio, prese la parola nel comizio di fabbrica, espose tutto il complesso della quistione tra Nord e Sud e si ottenne il «miracolo»: gli operai, a grandissima maggioranza, respinsero la tesi riformista e corporativa. Fu dimostrato che i riformisti non rappresentavano lo spirito degli operai reggiani; ne rappresentavano solo la passività e altri lati negativi. Erano riusciti a instaurare un monopolio politico, data la notevole concentrazione nelle loro file di organizzatori e propagandisti d'un certo valore professionale, e quindi, a impedire lo sviluppo e l'organizzazione di una corrente rivoluzionaria; ma era bastata la presenza di un rivoluzionario capace per metterli in iscacco e rivelare che gli operai reggiani sono dei valorosi combattenti e non dei porci allevati con la biada governativa.
Nell'aprile 1921, 5.000 operai rivoluzionari furono licenziati dalla Fiat, i Consigli di fabbrica furono aboliti, i salari reali furono abbassati.
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