Tra l'idea liberale e l'idea nazionalista c'è la stessa differenza che tra il socialismo rivoluzionario e il riformismo. I nazionalisti, come Italo Minunni, sono i riformisti della borghesia. La borghesia italiana, nel suo sviluppo, è arrivata appena allo stadio corporativista. I nazionalisti sono i paladini dei «diritti» delle corporazioni borghesi che fanno coincidere, naturalmente, coi «diritti» della nazione, cosí come molti riformisti fanno coincidere con tutto il proletariato una o un'altra categoria di lavoratori, per la quale brigano e cercano strappare dei benefici.
Il riformismo nazionalista si esprime specialmente nel protezionismo, che è conquista di benefici particolari a danno dell'intiera classe produttrice borghese e a danno di tutti i consumatori. I siderurgici, i cotonieri, gli armatori, gli agrari sono le quattro categorie borghesi che il riformismo nazionalista sostiene, e ai rappresentanti delle quali chiede che lo Stato dia i mezzi per arricchire privatamente a danno dell'industria e dell'agricoltura e a danno dell'intiera nazione. Ora questo riformista si occupa anche di alcuni ceti proletari. Filippo Carli (anch'egli covato nella redazione dell'Idea nazionale) ha teorizzato i futuri rapporti fra capitale e lavoro:
[cinque righe censurate].
Nello stesso numero della Gazzetta di Torino in cui Italo Minunni fa la sua presentazione, Filippo Carli stampa appunto la conclusione di un suo studio — presentato al Congresso di Parigi delle Camere di commercio interalleate — sull'organizzazione dell'industria dopo la guerra, dal punto di vista dei rapporti tra capitale e lavoro.
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