Poiché ciò è successo, poiché il gesto letterario ha dato inizio alla guerra civile, poiché l'avventura dannunziana ha rivelato e dato forma politica a uno stato di coscienza diffuso e profondo, se ne conclude che la borghesia è morta come classe, che il cemento economico che la rendeva coesa è stato corroso e distrutto dai trionfanti antagonismi di casta, di gruppo, di ceto, di regione; se ne conclude che lo Stato parlamentare non riesce piú a dare forma concreta alla realtà obbiettiva della vita economica e sociale dell'Italia.
E l'unità nazionale, che si riassumeva in questa forma, scricchiola sinistramente. Chi si meraviglierebbe leggendo domani la notizia che a Cagliari, a Sassari, a Messina, a Cosenza, a Taranto, ad Aosta, a Venezia, ad Ancona... un generale, un colonnello o anche un semplice tenente degli arditi è riuscito a far ammutinare dei reparti di truppa, ha dichiarato di aderire al governo di Fiume e ha decretato che i cittadini della sua giurisdizione non devono piú pagare le imposte al governo di Roma?
Oggi lo Stato centrale, il governo di Roma, rappresenta i debiti di guerra, rappresenta la servitù verso la finanza internazionale, rappresenta una passività di cento miliardi. Ecco il reagente che corrode l'unità nazionale e la compagine della classe borghese; ecco la causa sotterranea che illumina il fatto del come ogni atto di indisciplina «borghese», di indisciplina nell'ambito della proprietà privata, di insurrezione «reazionaria» contro il governo centrale trovi aderenze, simpatie, giornali, quattrini.
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