Se un tenente degli arditi fonda un governo a Cagliari, a Messina, a Cosenza, a Taranto, ad Aosta, ad Ancona, a Udine, contro il governo centrale, egli diventa il perno di tutte le diffidenze, di tutti gli egoismi dei ceti proprietari del luogo, egli trova simpatie, adesioni, quattrini, perché questi proprietari odiano lo Stato centrale, vorrebbero esonerarsi dal pagamento delle imposte che lo Stato centrale dovrà imporre per pagare le spese di guerra.
I governi locali, dissidenti sulla questione di Fiume, diventeranno l'organizzazione di questi antagonismi irriducibili; essi tenderanno a mantenersi, a creare Stati permanenti, come è avvenuto nell'ex impero russo e nella monarchia austro-ungarica. I proprietari di Sardegna, di Sicilia, di Valdaosta, del Friuli, ecc. dimostreranno che i popoli sardo, siciliano, valdostano, friulano ecc. non sono italiani, che già da tempo aspiravano all'indipendenza, che l'opera di italianizzazione forzata che il governo di Roma ha condotto, con l'insegnamento obbligatorio della lingua italiana, è fallita, e manderanno memoriali a Wilson, a Clemenceau, a Lloyd George... e non pagheranno le imposte.
In tali condizioni è stata ridotta la nazione italiana dalla classe borghese, che in ogni sua attività tende solo ad accumulare profitto. L'Italia è psicologicamente nelle stesse condizioni di prima del '59: ma non è piú la classe borghese che oggi ha interessi unitari in economia e in politica. Storicamente la classe borghese italiana è già morta, schiacciata da una passività di cento miliardi, disciolta dagli acidi corrosivi dei suoi interni dissidi, dei suoi inguaribili antagonismi.
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