La guerra ha portato alla ribalta un grande partito dei contadini, il partito popolare. Che le campagne non avessero mai avuto una rappresentanza propria, espressione specifica dei propri interessi e delle proprie aspirazioni politiche, si vede dalla composizione stessa del partito popolare, aristocratico e demagogico, poggiante insieme sui grandi e medi proprietari e sui contadini poveri e i piccoli proprietari. Il partito popolare aspira al governo, aspira al potere di Stato, aspira a costruire un suo Stato e ne ha i mezzi. La guerra ha determinato l'organizzazione dell'apparato industriale sotto il controllo delle banche: i clericali sono, oggi, in Italia, i maggiori e piú efficaci agenti per il rastrellamento del risparmio. Essi dominano già molte banche; in breve tempo riuscirebbero a dominarle tutte, se padroni del potere di Stato; in breve tempo tutte le clientele e le cricche tradizionali sarebbero spazzate via e sostituite: il partito popolare (700.000 tessere!) ha molti appetiti e molte ambizioni da saziare!
La patria è in pericolo, bisogna salvare il popolo e la collettività! Ohibò, è solo in pericolo il borsellino delle clientele giolittiane, è in pericolo il potere degli industriali politicanti e insaziabili, è in pericolo la carriera politica degli agenti piccolo-borghesi dell'affarismo capitalistico.
Certo lo Stato borghese non resisterà alla crisi. Nelle condizioni in cui è ridotto attualmente, la crisi lo manderà in pezzi. Ma la classe operaia non si preoccupa per il fatto che lo Stato borghese vada in pezzi, anzi contribuisce al fatto con tutte le sue forze.
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