Il proletariato non riuscì ad esprimere altro che una nuova piccola borghesia, incapace e senza un fine storico reale; la lotta di classe, che doveva tendere alle sue conclusioni dialettiche, alla fondazione di uno Stato operaio, si sparpagliò in una molteplicità di piccole distruzioni e di azioni [una parola mancante] e la piccola borghesia, che sembrava distrutta, riprese fiato, si raggruppò; avendo visto che la lotta di classe non è riuscita a svilupparsi e a concludersi, nuovamente la nega, nuovamente si diffonde la persuasione che si tratti di delinquenza, di barbarie, di avidità sanguinaria. La reazione, come psicologia diffusa, è un portato di questa incomprensione: gli elementi di questa psicologia sono la paura folle e l’abbiezione piú bassa, correlative necessarie dell'ambizione e della vanità che caratterizzarono gli stessi strati della popolazione prima della rovina economica e della caduta del programma nazionalista. Ma le forze elementari scatenate dal fallimento del massimalismo «piccolo-borghese», dalla disperazione che invade gli animi per la incomprensione delle leggi che governano anche questa crisi, per la persuasione che il paese sia in balìa di spiriti demoniaci incontrollabili e imponderabili, ma queste forze elementari non possono non avere un movimento politico, non possono non condurre a una conclusione politica. La convinzione diffusa nei ceti industriali e piccolo borghesi della necessità della reazione, valorizza i gruppi e i programmi generali di chi ha sempre sostenuto la reazione: l'alta gerarchia militare, il fascismo, il nazionalismo.
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