Lo Stato italiano, in qualunque modo abbia fine questa lotta, è irrimediabilmente compromesso nel suo prestigio e nella sua dignità: la dimostrazione sperimentale del suo non essere, della sua incapacità politica, della sua anemia organizzativa, è stata data perentoriamente.
Ma come andrà a finire la lotta? L'assenza, proprio in questo periodo storico, di un forte partito politico del proletariato rivoluzionario, di un partito comunista rigidamente accentrato, capace di formare con la sua organizzazione la prima, provvisoria impalcatura di uno Stato operaio, autorizza l'affermazione che solo un rincrudimento di barbarie e di reazione sarà la fine di questa lotta. La dissoluzione del potere borghese non significa di per se stessa nascita di un partito proletario se manca l'organizzazione politica della classe oppressa, se l'organizzazione esistente non ha un programma e un piano d'azione, la dissoluzione non può essere arrestata energicamente e continua a corrompere e a far imputridire tutto il corpo sociale. Stato significa accentramento di comando e d'azione. Lo Stato italiano cade in pezzi appunto perché i poteri locali non funzionano secondo le parole d'ordine che partono dal centro governativo: pullulano invece i gruppi armati locali, che si sostituiscono all'organizzazione armata ufficiale, ubbidiscono a interessi locali, svolgono una lotta da partigiani contro gli avversari locali. Il fascismo è l'espressione di questo corrompersi dei poteri statali. D'Annunzio lotta contro Giolitti perché esiste il fascismo bolognese, milanese, torinese, fiorentino, ecc.; Giolitti è impotente contro D'Annunzio perché a Bologna, a Milano, a Torino, a Firenze i suoi funzionari sostengono il fascismo, armano i fascisti, si confondono coi fascisti; perché in tutti questi centri il fascismo si confonde con la gerarchia militare, perché in tutti questi centri il potere giudiziario lascia impunito il fascismo.
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