Il fascismo conservò sempre questo vizio d'origine. Il fervore dell'offensiva armata impedí fino ad oggi l'aggravarsi del dissidio fra i nuclei urbani, piccolo-borghesi, prevalentemente parlamentari e collaborazionisti, e quelli rurali, formati da proprietari terrieri grandi e medi e dagli stessi coloni, interessati alla lotta contro i contadini poveri e le loro organizzazioni, recisamente antisindacali, reazionari, piú fiduciosi nell'azione armata diretta che nell'autorità dello Stato e nell'efficacia del parlamentarismo.
Nelle zone agricole (Emilia, Toscana, Veneto, Umbria), il fascismo ebbe il maggior sviluppo, raggiungendo, coll'appoggio finanziario dei capitalisti e la protezione delle autorità civili e militari dello Stato, un potere senza condizioni. Se da una parte l'offensiva spietata contro gli organismi di classe del proletariato è servita ai capitalisti, che nel volgere di un anno poterono vedere tutto l'apparecchio di lotta dei sindacati socialisti infrangersi e perdere ogni efficacia è innegabile però che la violenza, degenerando, ha finito per creare al fascismo un'opinione diffusa di ostilità nei ceti medi e popolari.
Gli episodi di Sarzana, Treviso, Viterbo, Roccastrada scossero profondamente i nuclei fascisti urbani, personificati in Mussolini, che cominciarono a vedere un pericolo nella tattica esclusivamente negativa dei fasci delle zone agricole. D'altra parte questa tattica aveva già dato ottimi frutti trascinando il partito socialista su un terreno transigente e favorevole alla collaborazione nel paese ed in Parlamento.
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