Il dissidio latente comincia da questo momento a manifestarsi in tutta la sua profondità. Mentre i nuclei urbani, collaborazionisti, vedono ormai raggiunto l'obiettivo, propostosi, dell'abbandono dell'intransigenza classista da parte del partito socialista, e si affrettano a verbalizzare la vittoria col patto di pacificazione, i capitalisti agrari non possono rinunziare alla sola tattica che assicura loro il «libero» sfruttamento delle classi contadine, senza seccature di scioperi e di organizzazioni. Tutta la polemica che commuove il campo fascista, fra favorevoli e contrari alla pacificazione, si riduce a questo dissidio, le cui origini non si debbono ricercare che nelle origini stesse del movimento fascista.
Le pretese dei socialisti italiani, di aver cioè essi provocata la scissione nel movimento fascista colla loro abile politica di compromesso, sono nient'altro che una riprova del loro dema-gogismo. In realtà la crisi fascista non è di oggi, ma di sempre. Cessate le ragioni contingenti che mantenevano compatte le schiere antiproletarie, era fatale che i dissidi si manifestassero con maggiore evidenza. La crisi è quindi niente altro che il chiarirsi di una situazione di fatto preesistente.
Dalla crisi il fascismo uscirà scindendosi. La parte parlamentare, capeggiata dal Mussolini, appoggiandosi sui ceti medi, impiegati e piccoli esercenti ed industriali, tenterà la loro organizzazione politica, orientandosi necessariamente verso una collaborazione coi socialisti e coi popolari.
| |
Mussolini
|