Per l'azione delle forze agrarie innestatesi al movimento piccolo-borghese dei reduci urbani, il fascismo «laddove appare come dominatore è diventato un puro, autentico ed esclusivo movimento di conservazione e di reazione». Il vicesegretario dei fasci conferma le nostre osservazioni sulla crisi del fascismo, che è essenzialmente dissidio fra nuclei urbani e nuclei rurali, e non di oggi, ma congenito allo sviluppo stesso del movimento fascista.
Mussolini ed il suo gruppo di piccoli borghesi, di appartenenti alle categorie medie, vogliono romperla coi nuclei agrari intransigenti, i quali, persistendo nella tattica della violenza armata antiproletaria, minacciano di inimicare l'opinione pubblica. Il fascismo collaborazionista, sindacalista nazionale, si preoccupa, a ragione, della sua base elettorale.
Il movimento fascista si avvia a grandi passi verso la scissione. Dal prossimo congresso dei fasci usciranno due fascismi. Le necessità della lotta antiproletaria giustificano agli occhi del capitalismo agrario il mantenimento della guardia bianca. Il fascismo rurale rimarrà e proseguirà nel suo sviluppo reazionario, finché rimarranno le ragioni che ne determinarono il sorgere e l'affermarsi. Per questa parte il fascismo si identifica collo stesso capitalismo agrario nella lotta contro i proletari delle zone rurali.
Quale avvenire attende la frazione collaborazionista mussoliniana che Cesare Rossi vuol ricondurre ai programmi primitivi di reduci di guerra interventisti? Il fascismo mussoliniano si propone esplicitamente l'organizzazione politica delle classi medie, della «piccola borghesia lavoratrice»; si propone di diventare, secondo i propositi di Agostino Lanzillo, un «partito medio, equidistante dai socialisti e dai popolari, come dalla plutocrazia e dal grande capitalismo, piú sensibile, per educazione e tradizione, degli altri due gruppi alle grandi idee nazionali e che raccolga in sé quanto di sano e di buono ha la borghesia rinnovata dalla guerra».
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Cesare Rossi Agostino Lanzillo
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