Questi propositi del gruppo collaborazionista sono la conseguenza logica di tutta una posizione assunta dai suoi maggiori esponenti nei confronti dei problemi economici, di tutta una teoria ed un programma sulla situazione storica italiana. «La realtà del mondo è capitalistica», è la base dei programmi mussoliniani.
Ma Mussolini ha uno strano, errato concetto della realtà capitalistica, delle attuali condizioni di sviluppo del capitalismo. Egli concepisce la realtà capitalistica come il riflesso della vita industriale di anni fa, di prima della guerra, del periodo anteriore ai trust ed all'accentramento nella banca del capitale industriale. Il capitano di industria è oggi scomparso, l'imprenditore è una figura economica arretrata, la sua attività si è trasformata in quella del semplice tecnico.
La guerra ha accentuato tale fenomeno. Le industrie si sono andate sviluppando e contemporaneamente accentrando sotto il controllo delle banche. L'imprenditore, l'industriale, è scomparso per dar posto alle grandi società per azioni, investenti i capitali delle grandi banche. Industriali sono diventati i depositari negli istituti finanziari, cioè i grandi latifondisti, i proprietari terrieri, gli agrari, che vi hanno impiegati i loro redditi per moltiplicarveli. Che interesse possono costoro avere all'incremento tecnico e sociale dell'industria? Essi non badano che agli alti dividendi, sia pure a costo della rovina di intere industrie.
Questa, e non le arbitrarie concezioni di Mussolini, è la realtà economica.
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