Nel periodo dall'armistizio all'occupazione delle fabbriche il partito socialista ha rappresentato la maggioranza del popolo lavoratore italiano, costituita di tre classi fondamentali, il proletariato, la piccola borghesia, i contadini poveri. Di queste tre classi solo il proletariato era essenzialmente e perciò permanentemente rivoluzionario: le altre due classi erano «occasionalmente» rivoluzionarie, erano «socialiste di guerra», accettavano l'idea della rivoluzione in generale per i sentimenti di ribellione antigovernativa germogliati durante la guerra. Poiché il partito socialista era costituito in maggioranza di elementi piccolo-borghesi e contadini, esso avrebbe potuto fare la rivoluzione solo nei primi tempi dopo l'armistizio, quando i sentimenti di rivolta antigovernativa erano ancora vivaci e attivi; d'altronde, essendo il partito socialista costituito in maggioranza di piccoli borghesi e di contadini (la cui mentalità non è molto diversa da quella dei piccoli borghesi di città), esso non poteva che essere oscillante, esitante, senza un programma netto e preciso, senza indirizzo, senza, specialmente, una coscienza internazionale. L'occupazione delle fabbriche, essenzialmente proletaria, trovò impreparato il partito socialista, che era solo parzialmente proletario, che era già, per i primi colpi del fascismo, in crisi di coscienza nelle altre sue parti costitutive. La fine dell'occupazione delle fabbriche scompaginò completamente il partito socialista; le credenze rivoluzionarie infantili e sentimentali caddero completamente; i dolori della guerra si erano in parte attutiti (non si fa una rivoluzione per i ricordi del passato!
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