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      Il patto di Roma tra fascisti e socialisti segna il punto d'arresto di questa politica ciecamente e politicamente disastrosa per la piccola borghesia urbana, la quale comprese che vendeva la sua «primogenitura» per un piatto di lenticchie. Se il fascismo continuava nelle spedizioni punitive tipo Treviso, Sarzana, Roccastrada, la popolazione sarebbe insorta in massa e, nell'ipotesi di una sconfitta popolare, non certo i piccoli borghesi avrebbero preso in mano il potere, ma lo stato maggiore e i latifondisti. Il fascismo si avvicina nuovamente al socialismo, la piccola borghesia cerca di rompere i legami con la grande proprietà terriera, cerca di avere un programma politico che finisce col rassomigliare stranamente a quello di Turati e D'Aragona.
      È questa la situazione attuale della massa popolare italiana: una grande confusione, successa alla unità artificiale creata dalla guerra e personificata dal partito socialista, una grande confusione che trova i punti di polarizzazione dialettica nel partito comunista, organizzazione indipendente del proletariato industriale; nel partito popolare, organizzazione dei contadini; nel fascismo, organizzazione della piccola borghesia. Il partito socialista, che ha dall'armistizio all'occupazione delle fabbriche rappresentato la confusione demagogica di queste tre classi del popolo lavoratore, è oggi il massimo esponente e la vittima piú cospicua del processo di disarticolazione (per un nuovo, definitivo assetto) che le masse popolari italiane subiscono come conseguenza della decomposizione della democrazia.


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418

   





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