Un anno33
Tutta la storia italiana dal 1900 (cioè dall'uccisione di Umberto I e dalla caduta degli inani tentativi dottrinari di creare uno Stato costituzionale con un rigido corpo di leggi scritte), e forse anche tutta la storia contemporanea del nostro paese dall'avvento dell'unità nazionale, sarebbe un enigma se si prescindesse dall'assumere come punto centrale della visione storica l'incessante sforzo di determinati ceti governativi per incorporare nella classe dirigente le personalità piú eminenti delle organizzazioni operaie. La democrazia italiana, come si è creata fin dal 1870, manca di una solida struttura di classe per la non verificatasi prevalenza di nessuna delle due classi proprietarie: i capitalisti e gli agrari. La lotta tra queste due classi ha rappresentato nella storia degli altri paesi il terreno per la organizzazione dello Stato moderno, liberale e parlamentare. In Italia questa lotta è quasi assolutamente mancata, o, per meglio dire, si è attuata in una forma equivoca, come un assoggettamento, di natura burocratica e plutocratica, delle regioni centrali e meridionali del paese, abitate dalle classi agrarie, alle regioni settentrionali, dove invece aveva trovato sviluppo il capitale industriale e finanziario.
La necessità di mantenere un regime democratico, che nello stesso tempo era dominio di minoranze borghesi e si attuava come predominio di una ristretta parte della nazione sulla maggior parte del territorio, spinse incessantemente i rappresentanti dell'industrialismo e della plutocrazia settentrionale a cercare di ampliare i propri quadri di classe dominante incorporandovi le masse operaie e annullando la lotta di classe nella propria zona.
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