Questo piano ventennale della parte piú intelligente della borghesia italiana è giunto oggi a completa maturazione. Nella sua estrema vecchiaia Giolitti si vede sul punto di cogliere finalmente i frutti del suo lunghissimo e pazientissimo lavoro. E a questa conclusione si giunge proprio nei giorni che segnano l'anniversario del congresso di Livorno.
Un anno fa apparve chiaramente ai comunisti quale fosse il reale indirizzo della vita politica italiana, e nonostante l'estrema difficoltà del momento, nonostante che il loro atto potesse sembrare, a una gran parte della classe operaia, avventato e prematuro, i comunisti non esitarono ad assumere una precisa posizione, scindendo la propria responsabilità e quindi, in ultima analisi, la responsabilità di tutto il proletariato italiano, dagli atti politici che ineluttabilmente dovevano essere compiuti dallo strato piccolo-borghese che in vent'anni di storia si era venuto costituendo e fortemente organizzando nel seno della classe operaia.
I cosiddetti massimalisti unitari, con quella ignoranza della storia sociale del loro paese che sempre li ha distinti, credettero invece che il tenere imprigionate in una formazione di partito verbalmente rivoluzionaria le tendenze collaborazioniste, fosse sufficiente per evitare che il fatto storico si compiesse. I massimalisti sostennero che una collaborazione preordinata e quotidianamente predicata, rappresentasse una manifestazione di volontarismo; essi si rifiutarono sempre, con una cocciutaggine da muli bendati, di riconoscere che tutta la storia italiana, per i suoi presupposti peculiari e per il modo con cui si era costituito lo Stato unitario, dovesse necessariamente condurre alla collaborazione.
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