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      In un anno, intensificando fino all'assurdo la politica dei compromessi, che è la politica tradizionale delle classi dirigenti italiane, la borghesia è riuscita ad ottenere ciò che da venti anni pazientemente aveva preparato. Il grande partito socialista che nel 1919 sembrava essere l'unificatore di tutte le tendenze alla rivolta che covavano fin nei bassi strati della popolazione italiana, è completamente disgregato. Ne sono risultate due forze politiche, nessuna delle quali è in grado di dominare la situazione: da una parte la tendenza riformista, che verrà rapidamente incorporata nel seno della borghesia, dall'altra il partito comunista. Ma questi obiettivi risultati del congresso di Livorno non sono tali da scoraggiare i comunisti. Essi anzi sono forti appunto perché non rifiutano di guardare in faccia la situazione e di valutarla nei suoi reali rapporti di forza. Perché il proletariato potesse diventare una classe indipendente era necessario che si disgregasse l'edificio di falsa prepotenza economica costruito in venti anni di compromessi. Un crollo di tal genere non poteva mancare di avere conseguenze gravissime di indebolimento per lo stesso proletariato. I comunisti ebbero il coraggio di affrontare la situazione e di farla precipitare. Del resto se di questo coraggio avessero mancato, il crollo sarebbe avvenuto ugualmente e neppure l'attuale forza conservata dal proletariato si sarebbe salvata dallo sfacelo. È una premessa necessaria per la rivoluzione che anche in Italia avvenga la completa dissoluzione della democrazia parlamentare.


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418

   





Livorno Italia