E gli industriali, abusando della loro forza, rompono i patti, attuano riduzioni di salario, violano anche le otto ore. Questa situazione non è stata però legalizzata da nessun concordato. Gli industriali si sentono sempre vincolati da un patto, anche se essi non lo rispettano piú. E perciò vogliono che l'organizzazione riconosca questo stato di fatto e danno battaglia per l'abolizione del carovita da includersi nei nuovi patti di lavoro. La lotta da sotterranea diventa palese, da tacita scoppia in tutta la sua crudezza. A questo punto l'organizzazione non può piú ignorare che sono avvenute delle riduzioni di salari e che gl'industriali dopo aver strappato i concordati vogliono rendere legittimo questo stato di fatto creato con la violenza. Per l'organizzazione il problema è uno solo: acconsentire o lottare? Un anno di esperienza del proletariato metallurgico, al quale si riannodano le sorti di tutte le altre categorie operaie, sta a dimostrare che oggi non è piú possibile rimandare la lotta. Gl'industriali non rispettano piú alcun concordato; essi agiscono secondo che si sentono forti. L'organizzazione non può nemmeno piú fare affidamento nei patti che essa stessa stipula con la parte padronale, se questa non diventa consapevole della sua forza. La lotta è il solo mezzo che resti agli operai ed all'organizzazione, per porre un termine alla ritirata di settembre. Ma la lotta non dev'essere intesa come lo sforzo di una categoria. La realtà di questi mesi ha mostrato come sia fallace la tattica di condurre a scaglioni gli operai alla lotta.
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