L'operaio è dunque naturalmente forte nella fabbrica, è concentrato, è organizzato nella fabbrica. Esso è invece isolato, disperso, debole fuori della fabbrica.
Nel periodo prima della guerra imperialistica era il rapporto inverso che si verificava. L'operaio era isolato nella fabbrica ed era coalizzato fuori: dall'esterno premeva per ottenere una migliore legislazione d'officina, per diminuire l'orario di lavoro, per conquistare la libertà industriale.
La fabbrica operaia è oggi rappresentata dalla commissione interna. Viene subito spontaneamente la domanda: perché i capitalisti e i fascisti, che hanno voluto la distruzione dei sindacati, non distruggono anche le commissioni interne? Perché, mentre il sindacato ha perduto organizzativamente terreno sotto l'incalzare della reazione, la commissione interna ha invece allargato la sua sfera organizzativa? È un fatto che in quasi tutte le fabbriche italiane si è ottenuto ciò: che ci sia una sola commissione interna; che tutti gli operai, e non solo gli organizzati, votino nelle elezioni della commissione interna. Tutta la classe operaia è dunque oggi organizzata nelle commissioni interne che hanno cosí definitivamente perduto il loro carattere strettamente corporativo.
È questa, obbiettivamente, una grande conquista di amplissima significazione: essa serve ad indicare che nonostante tutto, nel dolore e sotto l'oppressione del tallone ferrato dei mercenari fascisti, la classe operaia, sia pure molecolarmente, si sviluppa verso l'unità, verso una maggiore omogeneità organizzativa.
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