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      Invece a Milano sembrava che gli operai venissero appositamente tenuti lontani dall'organizzazione di partito. I circoli rionali non avevano che una molto scarsa importanza e d'altronde accoglievano solo gli inscritti al partito. Nella sezione gli elementi operai non avevano la possibilità di far sentire la loro voce. La tribuna era sempre occupata dai grandi assi della demagogia riformista e massimalista, che parlavano ore e ore sui grandi problemi della politica internazionale o... comunale; non una discussione seria sui problemi piú intimamente operai, come i consigli di fabbrica, le cellule d'officina, il controllo operaio, nella trattazione dei quali anche il piú semplice operaio avrebbe avuto una competenza e dei punti di vista da prospettare. Chi lavorava erano i riformisti: lo scheletro intiero dell'organizzazione operaia milanese era costituito dai riformisti. Sapientemente scaglionati in tutti i punti strategici piú importanti, sapendo lavorare silenziosamente e metodicamente, sapendo piegarsi e scomparire quando il turbine rivoluzionario diventava piú violento, i riformisti saldarono fortissime catene entro le quali oggi la classe operaia milanese circola senza neppure accorgersene. Era tipico di Milano e estremamente significativo dell'assenza di una organizzazione rivoluzionaria, il fatto che quando il movimento di piazza raggiungeva il suo massimo, quando da tutti gli angoli della città brulicava la massa fin nei suoi elementi piú miseri e piú apatici, gli anarchici prendevano il sopravvento nella direzione; quando il movimento era medio e le grosse parole bastavano, allora i massimalisti erano i leoni; quando invece c'era stagnazione e solo le forze piú attive organizzate erano viventi, allora la direzione era dei riformisti.


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418

   





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