Il «patto Gentiloni» fu la schematizzazione evidente di questo sistema.
Fino a che la estrema destra reazionaria rimaneva nel seno del partito popolare era sempre aperta la via a una soluzione di questo genere. La sua uscita e la sua costituzione in gruppo politico autonomo può darsi sia stato un successo parlamentare contro l'autoritarismo di don Sturzo, ma ha posto il problema del partito popolare e soprattutto delle masse che vi aderiscono in modo ben diverso di prima.
Nel partito popolare vi è sempre una «destra», e noi comprendiamo in questa destra anche il cosiddetto «centro». È una destra di professionisti, di borghesi medi e piccoli, la quale ha nel dopoguerra esercitato verso le masse popolari una funzione analoga a quella che i reazionari cattolici esercitavano verso le masse aderenti ad essi attraverso l'organizzazione della Chiesa. Essa ha fatto accettare a queste masse un programma «riformista» nei confronti dello Stato italiano, cioè ha fatto credere che il soddisfacimento dei loro bisogni di liberazione economica e politica si potesse ottenere senza spezzare la macchina dello Stato, senza sostituire a uno Stato borghese, sedicente liberale, uno Stato degli operai e dei contadini, senza porre agli operai e ai contadini il problema della conquista del potere, politico. Questo gruppo è certamente responsabile della sconfitta di cui i contadini [popolari] subiscono oggi le conseguenze tanto quanto i contadini socialisti; e il suo disagio politico diventa di giorno in giorno piú grande, perché di giorno in giorno i contadini stessi si stanno convincendo che oggi un programma «riformista» non ha piú nessun significato.
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