Il delitto Matteotti dette la prova provata che il partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, che Mussolini non possiede dello statista e del dittatore che alcune pittoresche pose esteriori: egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alle storie nell'ordine delle diverse maschere provinciali italiane piú che nell'ordine dei Cromwell, dei Bolivar, dei Garibaldi.
L'ondata popolare antifascista provocata dal delitto Matteotti trovò una forma politica nella secessione dall'aula parlamentare dei partiti di opposizione. L'Assemblea delle opposizioni divenne di fatto un centro politico nazionale intorno al quale si organizzò la maggioranza del paese: la crisi scoppiata nel campo sentimentale e morale, acquistò cosí uno spiccato carattere istituzionale; uno Stato fu creato nello Stato, un governo antifascista contro il governo fascista. Il partito fascista fu impotente a frenare la situazione: la crisi lo aveva investito in pieno, devastando le fila della sua organizzazione: il primo tentativo di mobilitazione della milizia nazionale fallì in pieno, solo il 20 per cento avendo risposto all'appello; a Roma solo 800 militi si presentarono alle caserme. La mobilitazione diede risultati rilevanti solo in poche province agrarie, come Grosseto e Perugia, permettendo cosí di far calare a Roma qualche legione decisa ad affrontare una lotta sanguinosa.
Le opposizioni rimangono ancora il fulcro del movimento popolare antifascista; esse rappresentano politicamente l'ondata di democrazia che è caratteristica della fase attuale della crisi sociale italiana.
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