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      Il fascismo è costretto a lottare contro questi gruppi superstiti molto vivacemente e a lottare con vivacità anche maggiore contro la massoneria, che esso considera giustamente come centro di organizzazione di tutte le tradizionali forze di sostegno dello Stato. Questa lotta, che è, volere o no, l'indizio di una spezzatura nel blocco delle forze conservatrici e antiproletarie, può in determinate circostanze favorire lo sviluppo e l'affermazione del proletariato come terzo e decisivo fattore di una situazione politica.
      Nel campo economico il fascismo agisce come strumento di una oligarchia industriale e agraria per accentrare nelle mani del capitalismo il controllo di tutte le ricchezze del paese. Ciò non può fare a meno di provocare un malcontento nella piccola borghesia la quale, con l'avvento del fascismo, credeva giunta l'era del suo dominio.
      Tutta una serie di misure viene adottata dal fascismo per favorire una nuova concentrazione industriale (abolizione della imposta di successione, politica finanziaria e fiscale, inasprimento del protezionismo), e ad esse corrispondono altre misure a favore degli agrari e contro i piccoli e medi coltivatori (imposte, dazio sul grano, «battaglia del grano»). L'accumulazione che queste misure determinano non è un accrescimento di ricchezza nazionale, ma è spoliazione di una classe a favore di un'altra, e cioè delle classi lavoratrici e medie a favore della plutocrazia. Il disegno di favorire la plutocrazia appare sfacciatamente nel progetto di legalizzare nel nuovo codice di commercio il regime delle azioni privilegiate; un piccolo pugno di finanzieri viene, in questo modo, posto in condizioni di poter disporre senza controllo di ingenti masse di risparmio provenienti dalla media e piccola borghesia e queste categorie sono espropriate del diritto di disporre della loro ricchezza.


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418

   





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