Il Fovel si aggregò alla banda Passigli, Montelli, Gardenghi, che aveva fatto del Lavoratore di Trieste un centro d'affari assai lucrosi, e che doveva avere dei contatti con l'ambiente industriale torinese: tentativo di Passigli di trasportare l'Ordine Nuovo a Trieste con gestione «commercialmente» redditizia (vedere per la data la sottoscrizione di 100 lire fatta dal Passigli che era venuto a Torino per parlare direttamente); quistione se un «galantuomo» poteva collaborare al Lavoratore. Nel 1921, negli uffici del Lavoratore furono trovate carte appartenenti al Fovel e al Gardenghi, da cui risultava che i due compari giocavano in borsa sui valori tessili durante lo sciopero guidato dai sindacalisti di Nicola Vecchi e dirigevano il giornale secondo gli interessi del loro giuoco. Dopo Livorno, Fovel non fece parlare di sé per qualche tempo. Ricomparve nel 1925, collaboratore dell'Avanti di Nenni e Gardenghi e impostò una campagna favorevole all'infeudamento dell'industria italiana alla finanza americana, campagna subito sfruttata (ma doveva esserci già accordo preventivo) dalla Gazzetta del popolo, legata all'ing. Ponti della Sip. Nel 1925-'26 il Fovel collaborò spesso alla Voce repubblicana. Oggi (1929) sostiene il corporativismo come premessa a una forma italiana d'americanizzazione, collabora al Corriere padano di Ferrara, ai Nuovi studi, ai Nuovi problemi, ai Problemi del lavoro e insegna (pare) all'università di Ferrara.
Ciò che nella tesi del Fovel, riassunta dal Pagni, pare significativo, è la sua concezione della corporazione come di un blocco industriale-produttivo autonomo, destinato a risolvere in senso moderno e accentuatamente capitalistico il problema di un ulteriore sviluppo dell'apparato economico italiano, contro gli elementi semifeudali e parassitari della società che prelevano una troppo grossa taglia sul plusvalore, contro i cosí detti «produttori di risparmio». La produzione del risparmio dovrebbe diventare una funzione interna (a miglior mercato) dello stesso blocco produttivo, attraverso uno sviluppo della produzione a costi decrescenti che permetta, oltre a una maggior massa di plusvalore, piú alti salari, con la conseguenza di un mercato interno piú capace, di un certo risparmio operaio e di piú alti profitti.
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