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      Ma il patrio protezionismo, che in taluni casi raggiunge e supera il cento per cento del valore internazionale del prodotto, rincarando la vita, rallentava a sua volta la formazione del risparmio, che per di piú veniva conteso all'industria dallo Stato stesso, spesso stretto dai suoi bisogni, sproporzionati alla nostra impalcatura. La guerra, allargando oltre misura tale impalcatura, costrinse le nostre banche, come scrive la relazione precitata, " ad una politica di tesoreria coraggiosa e pertinace ", la quale consisté nel prendere a prestito " a rotazione " all'estero, per prestare a piú lunga scadenza all'interno. " Una tale politica di tesoreria aveva però — dice la relazione — il suo limite naturale nella necessità per le banche di conservare ad ogni costo congrue riserve di investimenti liquidi o di facile realizzo ". Quando scoppiò la crisi mondiale, gli " investimenti liquidi " non si potevano realizzare se non ad uno sconto formidabile; il risparmio estero arrestò il suo flusso; le industrie nazionali non poterono ripagare. Sicché, exceptis excipiendis, il sistema bancario italiano si trovò in una situazione per piú aspetti identica a quella del mercato finanziario inglese nella metà del 1931... (L'errore) antico consisteva nell'aver voluto dare vita ad un organismo industriale sproporzionato alle nostre forze, creato con lo scopo di renderci " indipendenti dall'estero "; senza riflettere che, a mano a mano che non " dipendevamo " dall'estero per i prodotti, si rimaneva sempre piú dipendenti per il capitale».


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418

   





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