Ma il puro controllo non è sufficiente. Non si tratta infatti solo di conservare l'apparato produttivo cosí come è in un momento dato; si tratta di riorganizzarlo per svilupparlo parallelamente all'aumento della popolazione e dei bisogni collettivi. Appunto in questi sviluppi necessari è il maggior rischio dell'iniziativa privata e dovrebbe essere maggiore l'intervento statale, che non è neanche esso scevro di pericoli, tutt'altro.
Si accenna a questi elementi, come a quelli piú organici ed essenziali, ma anche altri elementi conducono all'intervento statale, o lo giustificano teoricamente: l'aggravarsi dei regimi doganali e delle tendenze autarchiche, i premi, il dumping, i salvataggi delle grandi imprese in via di fallimento o pericolanti, cioè, come è stato detto, la «nazionalizzazione delle perdite e dei deficit industriali», ecc.
Se lo Stato si proponesse di imporre una direzione economica per cui la produzione del risparmio da «funzione» di una classe parassitaria fosse per divenire funzione dello stesso organismo produttivo, questi sviluppi ipotetici sarebbero progressivi, potrebbero rientrare in un vasto disegno di razionalizzazione integrale: bisognerebbe perciò promuovere una riforma agraria (con l'abolizione della rendita terriera come rendita di una classe non lavoratrice e incorporazione di essa nell'organismo produttivo, come risparmio collettivo da dedicare alla ricostruzione e a ulteriori progressi) e una riforma industriale, per ricondurre tutti i redditi a necessità funzionali tecnico-industriali e non piú a conseguenze giuridiche del puro diritto di proprietà,
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Stato
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