Il partito comunista vuol seguire questa tradizione, iniziata dallo stesso Carlo Marx, quando, evidentemente, non era ancora nato il marxismo intelligente della scuola di Biella. Non vuol seguire invece la tradizione del riformismo sindacale, del mandarinismo confederale che ha portato anche in Italia alla formazione di una aristocrazia operaia, che vuol ritornare ai sindacati di mestiere, che vuol estraniarsi dalle lotte della parte piú misera e piú arretrata del popolo lavoratore.
Crede l'Avanti! che molti strati operai e contadini riescano a comprendere molto bene la differenza che passa tra il capolega fascista e l'antico capolega riformista, che era, non meno di questo, autoritario e dispotico, che, come questo, deliberava al di fuori e al di sopra degli organizzati, che «emancipava» la massa creandosi diarie, trasferte, indennità e trascorrendo il suo tempo nelle osterie e nei postriboli, tale e quale il «ras» fascista? E crede che questa «incomprensione» non abbia influito nel trasformare la coercizione in una passività ebete e dolorante? Perché dunque non intervenire nella vita di queste masse, anche se esse sono controllate dal fascismo? Perché non creare nel loro seno gruppi di simpatizzanti e correnti di opinioni che le scuotano, le pervadano e rendano impossibile il dominio della turpe demagogia fascista?
Ma bisogna nello stesso tempo lavorare nella Confederazione, risanarla dal semifascismo che l'ha conquistata. Una tattica sarebbe impossibile senza l'altra. Nessuno dei comunisti del partito ha mai pensato che sia possibile assumere la direzione e il controllo dei sindacati fascisti: c'è anche una sola frase nell'articolo della Corrispondenza internazionale che autorizzi a pubblicare affermazioni cosí inette?
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