Palestrina ha due buoni storici, Cecconi e Petrini, le cui Memorie Prenestine sono molto preziose per lo studio della storia del medio evo romano e della campagna romana.
Subito sotto la città, la strada s'interna in una gola profonda, in mezzo ai monti popolati di lussureggianti castagni, dove scorre anche un torrente chiuso tra due rocce selvagge che tolgono ogni vista. Dopo tre miglia la strada si apre ad un tratto sopra un ponte grandioso e pittoresco, che varca uno degli affluenti del Sacco, e ci si trova allora dinanzi il cupo e bizzarro villaggio di Cave, costruito su una collina attorniata da vigneti e da giardini, da dove la vista può stendersi sino ai monti Volsci e per la pianura del Sacco.
Sulla piazza del mercato di Cave sorge una colonna, emblema della famiglia Colonna, antica feudataria del luogo. Nei[15] dintorni crescono alberi di noce di straordinarie dimensioni, i cui frutti raggiungono talvolta la grossezza di un pomo e sono molto apprezzati in tutta la campagna romana.
Il popolo di Cave è di sangue caldo, pronto all'ira ed incline a maneggiare il coltello, e parla un dialetto che si avvicina molto al linguaggio delle cronache del medio evo, al romanesco, e che ricorda anche il calabrese per la facilità nel sostituire alle vocali i dittonghi. Invece di si, per esempio, esso dice sei ed anche seine, con la cantilena abituale alla gente volgare; dice signoure per signore, muratoure per muratore, Rouma per Roma. Quei di Palestrina hanno invece conservato molte parole e desinenze latine; il buon vignaiolo Agapito, quando m'invitava ad andare nella sua vigna, mi diceva: venite in vigna mea (e non mia), locuzione questa che dai contadini di Genazzano era stimata cattiva e che a quelli di Palestrina pareva migliore.
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