Pagina (26/270)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      L'usura poi non ha limiti; anche ai più poveri prende il dieci per cento. La più lieve disgrazia, una raccolta mancata, come avviene da alcuni[31] anni in qua, basta ad indebitare il contadino trascinandolo nella miseria. Se egli riesce ad ottenere danaro e derrate a credito gl'interessi lo rovinano e l'avido usuraio attende il momento, in cui il piccolo proprietario per fame sia costretto a vendergli il suo fondo ad un prezzo irrisorio. I baroni ed i conventi si arricchiscono; i contadini sono ridotti alla sorte di loro vassalli e di loro mezzadri. Ho avuto più volte occasione di osservare fatti simili. La vendita ha generalmente luogo in questo modo: il contadino indebitato comincia col vendere la sola terra e si riserva le piante "gli alberi" sotto la quale denominazione sono comprese anche le viti, e continua a coltivarle ed a godere della metà e talvolta anche dei tre quarti del reddito. Trascorso però un anno appena il contadino si ripresenta all'acquirente offrendo di vendergli anche le piante ed allora diventa suo mezzadro, continua ad abitare il terreno con la sua famiglia, a coltivarlo pel nuovo padrone, ricevendo in compenso una parte dei prodotti, e siccome non di rado questi non bastano al suo sostentamento, ricorre ancora a nuovi debiti.
      Nella vigna della mia padrona, una veneziana da tutti stimata per la sua onestà, vive appunto in tali condizioni una[32] famiglia di contadini composta di otto persone. Ho saputo che essa li aveva trovati e presi come mezzadri nel suo podere, poverissimi, e che aveva loro anticipato il denaro per vestirsi, comperare le masserizie e di che mangiare, ebbene, nonostante tutto ciò quei poveretti vivono in tanta miseria per l'eccessiva fatica ed il pessimo nutrimento, che sono stati colti tutti dalla febbre, ed è necessario soccorrerli ancora, perchè possano vivere.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Passeggiate per l'Italia
Volume Primo
di Ferdinand Gregorovius
Carboni Editore Roma
1906 pagine 270