Questa favola dimostra, se non altro, quanto sia antica questa tolleranza,[113] e forse anche negli antichi tempi romani i prigionieri sporgevano dalle finestre del loro carcere canne simili a queste.
Partii da Alatri per recarmi a visitare la famosa grotta di Collepardo, di cui avevo sentito tanto decantare le bellezze. Un vero sentiero di montagna conduce lassù, perchè alla distanza di poche miglia dalla città la natura del terreno cambia assolutamente carattere, ogni coltura scompare e si giunge alla montagna attraversando la selvaggia solitudine d'ignude rocce calcaree di color rosso.
Un carbonaio del piccolo villaggio alpestre di Collepardo, che aveva deposto il suo carico ad Alatri, e che avevo incontrato per caso, fu il mio compagno e la mia guida attraverso quei monti e, quantunque il suo rozzo dialetto fosse un po' difficile per me, ascoltavo volentieri i suoi racconti sulla vita povera ma contenta che conduceva nel suo paesello.
Le rupi erano sempre più erte e scoscese, la valle si andava facendo più romantica e selvaggia, eravamo giunti al torrente Cosa, che scorre impetuosamente attraverso quei monti. Le sue acque di una tinta verdognola come quelle dell'Inn nell'Engadina, abbondano di trote.
Questo torrente si può chiamare l'unica vena di vita della montagna, perchè la sola[114] angusta striscia di coltura in quel deserto di rupi si trova sulle sue sponde. Dopo un rapido corso si getta nel Sacco e con esso finisce nel Liri.
Risalendo il Cosa, al punto in cui esso si apre con violenza la via per una stretta gola ai piedi di un'erta massa di rupi, giace Collepardo.
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