Non risuonano più quelle vôlte delle litanie monacali; più non vi s'ode che l'estivo ronzio degli scarabei, e le anacreontiche canzoni amorose del grillo. Gli scarabei ed i fiori sono i soli signori di quei templi e più non li abbandonano.
Nel Mezzodì della Francia fu sporta un giorno lagnanza a S. Bernardo che una[180] chiesa costrutta di recente ed appena consacrata, fosse stata invasa dalle mosche. S. Bernardo esclamò: "Io le scomunico", e quando i messaggeri tornarono nella chiesa trovarono tutte le mosche morte. Sarebbe però ben difficile ad un santo liberare le chiese di Ninfa dai fiori, e per quanto quei poveri martiri si mostrino imbronciati, tra non molto l'edera li seppellirà interamente. Di molti di essi non si scorge più che un lembo di veste, sul quale sta scritto in caratteri latini il nome del santo: fra gli arbusti si possono ancora leggere i nomi di S. Sisto, di S. Cesareo o S. Lorenzo. Quando entrai nell'ultima chiesa, rimasi estatico. Invece dell'antico pavimento in mosaico bizantino, trovai un tappeto di fiori e di erba, e sull'altare, dove un tempo stavano le reliquie dei santi, vidi una rigogliosa vite dell'India, co' suoi grappoli rossi ed azzurri. Gli altari di Cristo non potrebbero essere meglio infiorati!
Non manca dunque nulla a Ninfa per essere il pendant di Pompei. Laggiù, ai piedi del Vesuvio, la classica antichità parla nelle immagini ridenti della città morta: qui è l'epoca cristiana che ha lasciato un po' della sua anima sopra i muri rovinati e coperti d'edera.
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