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      La cupa torre ed altre rovine gettano la loro ombra tremante sulle acque silenziose dello stagno e il giunco vi sussurra malinconicamente agitato dal vento. Talvolta si leva un grido d'anitra selvatica: sembra quasi il gemito di un'anima che soffra nelle profondità della terra ed aspiri tornare alla luce.
      Seduto in mezzo alle rovine, girai lo sguardo su quel verde reame di ombre, poi levai gli occhi verso la linea azzurra, tracciata nel cielo dalle montagne, su cui si distaccano gli scogli ciclopici di Norba ed il suo castello, e infine li abbassai di nuovo sulle paludi pontine e sul capo Circeo che superbo emergeva dal mare illuminato dal sole cadente.
      Che Circe la maga abbia abbandonato la sua dimora, fabbricata laggiù sul promontorio? Abiterebbe forse ella ora a Ninfa? E' forse divenuta la regina dell'edera! Nel vedere il verde che mi circondava per un momento ho creduto che Ninfa fosse il magazzino d'edera dell'Italia e che ivi venissero le anime dei grandi ad inghirlandare tutte le rovine gloriosamente. Bisogna sedersi su quei muri, allorchè la sera ravvolge, nella porpora da prima, poi nell'oro, tutte[183] quelle mura, tutte quelle rovine tappezzate di foglie, ed allorchè la montagna, il mare, il capo Circeo si tingono con sfumature indicibili.
      E che dire poi di questo paese di fate quando si leva la luna e l'illumina con i suoi bianchi raggi? Il ruscello Ninfeo che esce dallo stagno, sembra abbia ivi origine e porti in quel mondo di tombe lo spettacolo della giovinezza e della vita: lo si direbbe un essere umano che abbia paura del funebre luogo e fugga precipitoso e spumeggiante verso il mare, attraverso le paludi pontine.


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Passeggiate per l'Italia
Volume Primo
di Ferdinand Gregorovius
Carboni Editore Roma
1906 pagine 270

   





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